E’ difficile spiegare a parole il cammino che io e i miei compagni di corso stiamo attraversando giorno per giorno
in questa unità operativa dell’ospedale di Bergamo e precisamente l’Hospice.
Ogni giorno stando a contatto col malato terminale (sia esso giovane che anziano) prendo coscienza
che la vita è la cosa più bella a questo mondo. Parlando con i malati riesco a percepire
il loro stato d’animo sofferente, ma allo stesso tempo vedo nei loro occhi e nelle loro espressioni
una manifestazione di ringraziamento, un grazie che proviene dal profondo del loro cuore.
Non tutti i pazienti sono uguali tra loro: alcuni di essi mettono in mostra le loro paure, il loro dolore, la loro ansia;
altri invece tengono tutto per sè, perchè non vogliono esacerbare
la sofferenza che i parenti stanno vivendo. Altri scoppiano in un pianto liberatorio,
altri comunicano con Dio, "litigando" sul motivo per cui sono in questo stato…
Questa esperienza è estremamente formativa… sto capendo che bisogna vivere la vita giorno per giorno,
superare gli ostacoli e le difficoltà a testa alta, contare sull’aiuto delle persone a te care.
E’ davvero bello affrontare questo percorso col malato,
instaurare con esso un rapporto autentico e pieno di fiducia dove non esiste un limite a nulla…
E’ altrettanto formativo osservare come la persona lotta con la propria malattia,
lotta per raggiungere gli obiettivi che si era prefissati…e fa di TUTTO per realizzarli.
Ma a volte la malattia è talmente rapida e distruttiva sia fisicamente che psicologicamente
che non ha nemmeno la forza di esprimere con un gesto quello che sta provando in quell’istante.
In quel momento il silenzio sovrasta su tutto e tutti…
STEFANO
Di seguito riporterò alcune parti dell’articolo, dell’esperienza di vita
che due infermiere dell’Hospice hanno vissuto e manifestato apertamente…
Con questo racconto vogliamo narrare la complessità delle emozioni vissute da noi,
operatori dell’Hospice di Borgo Palazzo, in un percorso di cinque anni trascorso nell’incontro di molte persone:
magari arrabbiate poi rasserenate, depresse poi rassegnate, impaurite poi coraggiose, angosciate che,
con sguardi interrogativi e indagatori, cercano di comunicare una grande necessità di aiuto……..
Questi sguardi ci hanno insegnato a riflettere sulla morte e sul senso del limite e del confine in cui viviamo,
aiutandoci a guardare diversamente i continui cambiameni che caratterizzano le nostre vite: ecco che
allora davanti a noi si schiude una nuova prospettiva dove la sofferenza e la solitudine non costituiscono più l’unico orizzonte.
Volgendoci indietro abbiamo fissato nella memoria tanti sguardi, ma quello di Laura ci comunica tenerezza e dignità……….
Il caso è la storia di una giovane donna che da subito ha condiviso con noi questo progetto,
lei ci ha guidato e suggerito il percorso dei suoi ultimi giorni.
Laura era un’insegnante di 38 anni, sposata con un bambino di tre anni e orfana di padre.
Arrivò in hospice il 20 febbraio conoscendo esattamente le finalità della nostra struttura e delle Cure Palliative.
All’ingresso la paziente era stanca, astenica e molto sofferente, ma si presentava come
una persona gentile, cordiale e luminosa nonostante il fisico e il viso mostrassero
tutta la sofferenza e la crudeltà della malattia………..
Iniziò a raccontarci la sua storia, la storia della sua malattia e della morte imminente.
L’ èquipe rimase molto sorpresa, incredula e commossa, infatti era la prima volta
che una persona parlava della propria morte così apertamente e con tanta forza.
Da subito, nonostante il nostro imbarazzo e la nostra commozione, il dialogo fu sempre molto leale…………………..
Quando piangeva non facevamo domande dirette, lasciavamo che la sua paura, la sua disperazione,
la sua rabbia e impotenza si manifestassero. Ci parlava con delicatezza della sua fede, pura e autentica
che però un giorno durante un incontro con la psicologa non le impedì di arrabbiarsi molto con Dio
e di farle dire: " Mi hai fatto sposare, avere un figlio, perchè ?
Perchè se devo morire così presto e lasciare tutto ciò? Perchè? Perchè?".
La rabbia era tanta, come chiedere ad una madre di lasciare tutto ciò?
Come chiedere a lei cosi vera, tanto vera da entrare nel cuore dui tutti, di arrendersi?
Come e perchè? Tra la psicologa e Laura quel giorno ci fu un lungo silenzio, le parole non servivano,
la rabbia era giusta e le risposte non c’erano.
Quel silenzio fu interminabile e fu il segno terrificante di un vuoto:
lei chiedeva e voleva delle risposte da Dio amato, cercato e voluto. Ora anche lui taceva, non aveva risposte…………
Durante uno degli ultimi dialoghi con la psicologa, accadde un episodio significativo:
ricevette una telefonata da casa che le comunicava che il bambino aveva la febbre
e non sarebbe venuto a trovarla; lei stava per dire come curarlo ma si interruppe, guardò la dottoressa
che rimase in silenzio. Laura in quel momento capì che in un futuro
non sarebbe più stata lei ad occuparsi del figlio e quindi, come in una staffetta,
cedette il testimone al marito e lo fece con grande dolore ma con diginità………
Laura ci lasciò una mattina del 4 marzo, esattamente due mesi dopo la diagnosi……
Stare accanto a Laura nella fase finale della sua vita è stata un’esperienza
che ha sfidato le nostre certezze più radicate e ci ha portato a riconsiderare la relazione
che abbiamo con la nostra morte. E’ stato un viaggio fatto di continue scoperte
che ha richiesto coraggio e flessibilità, capacità di affrontare il rischio e la sofferenza.
Stando accanto a lei abbiamo curato noi stessi.
Prendersi cura degli altri crea sempre un beneficio reciproco che conferisce senso d’intimità, di condivisione,
di autenticità al nostro operare. Per questo non c’è più differenza tra chi riceve e chi dà,
ma esiste una interconnessione capace di superare i muri divisori dove tanto spesso cerchiamo invano riparo.
Papini Marilena e Alessandra Fadini
(infermiere dell’ Hospice di Borgo Palazzo)